Il giorno in cui ho scritto ai miei ex

 

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Il giorno in cui ho scritto ai miei ex… Raga, parlo al plurale per creare un po’ di sana suspense, ma sappiamo sia io che voi quattro stronzi che mi leggete che ne ho solo una. Be’, ora due, ma la seconda in ordine cronologico nella mia testa è ancora «la mia tipa». Ah, che bella, la mente umana… È così complessa che a volte sembra che ti pigli per il culo.

Comunque, il giorno in cui ho scritto «ai miei ex» (sto facendo le virgolette con le dita), non è che non me l’aspettassi, eh… Era annunciato. E se non fosse stato quel giorno, sarebbe stato un altro. Sono anni che ci penso, figurati.

E voi vi chiederete: «Ma perché?».

Eh, appunto, perché? Boh, ma io che cazzo ne so. Era una di quelle sere in cui avevo cenato gin tonic e nostalgia. Così sono tornata a casa con la percezione di cos’è giusto e cos’è una puttanata madornale un po’ alterata. Ho cercato il numero su Whattsapp e manco ce l’avevo più. Questo fattore avrebbe dovuto farmi fare un passo indietro, avrei dovuto guardarmi allo specchio e avere una di quelle conversazioni tra te e il tuo cervello in cui ti dice: «Fermati, Gloria. Non lo fare, non lo fare…». E invece poi, raga, l’ho fatto. Le ho mandato un messaggio su Facebook. Ho pure dovuto accendere il pc per farlo, perché FB non ce l’ho manco più sul telefono. Così, giusto per farvi capire quanto cazzo ero determinata nel portare questa mia crociata alcolica fino alla fine.

Quella notte ho dormito male, figurati, come sempre quando faccio una puttanata da sbronza. Il giorno dopo mi sono svegliata ancora un po’ fischiona, mi sono guardata allo specchio e ho avuto un’altra conversazione con il mio cervello, in cui mi ha detto: «Gloria, vai tra. Tanto mica ti risponde».

E invece, raga… Contro ogni pronostico. Tutto sommato è stato pure peggio, perché se non avesse risposto la puttanata si sarebbe arginata, ma così sono seguiti X giorni di come stai, cosa hai fatto in questi X anni in cui non ci siamo viste, in questi X anni in cui non ci siamo parlate… Una di quelle conversazioni in cui è più importante quello che non stai dicendo piuttosto che quello che dici.

Perché se scrivi alla tua ex poco dopo esserti mollata con un’altra, non è per sapere come sta. Non te ne frega un cazzo di come sta. Vuoi solo sapere quanto fascino puoi ancora esercitare su di lei, quanto potere hai ancora su di lei. Perché dopo un anno e mezzo con qualcuno che ti dichiara il suo amore tutti i giorni e ti dice quanto sei bella ogni mattina e tutte ‘ste robe da film che a quanto pare vogliono tutti tranne me, l’unica roba che vuoi è qualcuno che ti gonfi l’ego.

Peccato che la risposta poi sia sempre deludente. Raga… Sempre. E la domanda lecita a questo punto è: «Gloria, che cazzo ti aspettavi?».

Guarda, lo vuoi sapere davvero cosa mi aspettavo? Anzi, cosa mi farebbe piaciuto, più che altro. E, già che ci siamo, lasciamo pure perdere ‘sto stratagemma letterario del parlare al plurale per far finta che non ce l’ho con te, che tanto lo sappiamo tutti.

Mi sarebbe piaciuto che mi dicessi che in questi anni mi hai pensato, che a volte ti sono pure mancata, che dopo di me non te ne sei più trovata un’altra uguale perché io ho alzato l’asticella, che nemmeno tra le tue lenzuola è più passata una come me, che sono bella, brillante, ironica e anche un po’ intelligente. Anzi, zi’, sai cosa mi sarebbe piaciuto davvero un botto? Che mi scrivessi tu. Che una volta, almeno una cazzo di volta in questi 4 anni prendessi quella merda di telefono e mi scrivessi uno stronzissimo: «Ciao, come stai?».

E se questa fosse una conversazione faccia a faccia, so cosa mi diresti. «Eh, ma lo sai che il telefono non lo cago. Non mi piace messaggiare. E poi, scriverti per cosa? Avevamo bisogno di un distacco e di andare avanti». Ah, ma aspetta: ‘ste robe me le hai dette davvero. Allora lascia che ti spieghi quanto è stronzo pensare sempre e solo a te stessa. Che poi pure io lo faccio, per carità, perché, come ho appena detto, scriverti è stato un atto di egoismo probabilmente. D’altra parte, però, c’è pure da dire che se io (IO, ok? Non una di quelle tipelle stronze che ti fai un giorno e il giorno dopo non sai manco più come si chiamano) ti scrivo dopo due anni di silenzio, accendo il pc e ti mando un messaggio su Facebook che manco mi’ nonna, non dico che mi dovresti stendere un tappeto rosso, ma… Ah, no, aspetta… Invece mi sa proprio di sì, zia: mi dovresti stendere un cazzo di tappeto rosso. Perché dopo tutta la merda che mi sono mangiata, sono ancora qua a scriverti. Perché sono una cogliona, ma rimango sempre la persona più decente tra noi due. Ed è molto più complicato essere una persona decente che una brava a letto. A scopare son capaci tutti o, comunque, si può imparare molto più rapidamente che cercare di essere una persona migliore. Non so, maturare, evolversi e tutte quelle puttanate. Lo facciamo tutti, Cristo, perché tu no? Forse perché nel fondo è quello che sei, per lo meno per me: una persona deludente. DEAL WITH IT, giusto per parlare in una lingua che capisci bene. Ed è vero, me la sono cercata: nessuno me l’ha fatto fare di ingoiare l’orgoglio e scriverti, è stata decisione mia e mi piglio le conseguenze. Ciononostante, anche se non mi hai chiesto tu di scriverti, potresti anche mostrare un po’ di decenza per una che comunque ha fatto di più di quanto abbia mai fatto tu in ‘sto tempo per dimostrarti il suo interesse nei tuoi confronti in quanto essere umano, cosa che evidentemente tu per me non hai. Mai avuto, raga.

Comunque ti ricordo pure che tu eri quella che diceva che io dopo di te non avrei più avuto una tipa perché in fondo mi piacciono gli uomini, che non avrei mai vissuto all’estero perché in fondo volevo rimanere vicino alla mia famiglia. Un consiglio da (quasi) amica? Forse è il momento di farsi delle domande sul tuo criterio di giudizio.

Mi fai incazzare. Mi ha fatto incazzare che l’unico ricordo che hai di me riguarda il sesso quando quello che avevamo era, almeno in teoria, una «storia d’amore» e tutte ‘ste puttanate e non una trombamicizia. Cazzo è, le robe che abbiamo fatto o detto in due anni fuori dal letto non te le ricordi? Sarà che «fuori dal letto, nessuna pietà» e che Marco Ferradini è il guru dell’amore, però la tua versione della cosa mi sembra un po’ estrema. Poi mi sono stati sul cazzo i tempi di risposta biblici e tutte le robe che ti ho detto e a cui non hai risposto. E la frase mitica «Va be’, io sono così» non mi vale più. Esticazzi se sei così, fai uno sforzo. Per me, raga. Secondo me, me lo merito.

Ma tra noi è sempre stato così. L’unica differenza qua sono io, che negli ultimi anni ho dovuto per forza allenare il mio menefreghismo di fronte a ‘sti atteggiamenti di merda, perché se c’è una roba che mi sono dovuta inculcare in testa, volente o nolente, è che non puoi aspettarti da qualcuno che si comporti come vorresti tu. Non hai nessuna influenza sugli altri e se tu ti comporti come una minchiona, io non ci posso fare un cazzo. Non posso fare proprio un cazzo per fartelo capire se non vuoi, figuriamoci per farti cambiare.

Sono durata una settimana senza sparare fuori. Record personale. Ho aspettato ore e ore che mi rispondessi, ho fatto finta che andasse tutto tra quando ti scrivevo paragrafi degni di un premio Nobel e tu mi davi delle risposte deludenti, ho fatto finta che mi andasse bene sopravvivere nei tuoi ricordi solo per le mie doti fisiche. Poi, però, una notte in cui avevo cenato gin tonic e rancore, ho deciso che no, in realtà non mi stava bene proprio per un cazzo. E allora, te l’ho detto. Ti ho detto che mi sembra incredibile questo tuo stoicismo nell’essere come sei e non cambiare mai perché tanto «a me va bene così, e io mi basto», questa tua incapacità di guardare al di là del tuo orticello e gli altri si fottano, Gloria si fotta, per me non è nessuno. Mi è sembrata una mancanza di rispetto che io mi debba ricordare che non ti piace stare al telefono per tanto tempo, ma tu te ne sbatti il cazzo che a me faccia sfasare il visualizzato senza risposta e fare la vaga o addirittura ignorarmi quando ti sto dicendo cose concrete. Zia… Non mi hai manco risposto. Solo quando ti ho fatto notare che il tuo silenzio non era altro che una conferma delle mie parole, ti sei indignata. Deludente, ragazzi.

Eppure non sono sparata fuori nemmeno quando ti ho detto quelle robe. Non è stato uno «sfasare a caso, come tuo solito». No, io ero calmissima, ai limiti del «non me ne frega un cazzo». «E allora, se non te ne frega un cazzo, perché l’hai detto?». Perché, a quasi trent’anni, vivendo in una città e in un periodo storico in cui la lotta femminista ha raggiunto il suo apice e sento stronzate sul Women’s Empowerment tutti i sacrosantissimi giorni, mi sono detta: «Ma pensa te se mo io devo starmene zitta di fronte a ‘sto tuo atteggiamento del cazzo che mi fa girare le ovaie a elica ancora una volta e devo autocensurare quello che penso davvero».

Pure tu ci hai messo una settimana a chiedermi l’unica roba che forse ti premeva sapere. «Perché mi hai scritto dopo una settimana che ti sei mollata con la tipa?». Già, perché… Perché nonostante tutta sta merda di atteggiamento che hai, sei sempre stata la persona a cui penso quando mi va male con qualcun altro. Tutti ne abbiamo una, la mia sei te. Pure in un’altra delle pochissime occasioni in cui ci siamo sentite in ‘sti anni, ti avevo scritto perché mi era andata male con un tizio con cui uscivo da qualche mese. Un coglione, figurati. L’unica differenza è che allora te non lo sapevi.

Come dice la mia amica Silvio: «Glori, ci sono sempre quelle persone che se adesso entrassero dalla porta, non sai come reagiresti». Di solito lo dice indicano a braccio teso la porta e di solito siamo sedute in un bar quando lo dice. Be’, io so esattamente cosa farei se tu entrassi dalla porta del bar in cui sono seduta: ti saluterei con nonchalance anche se probabilmente dentro di me starei morendo di nervosismo, ti farei qualche battutina ironica giusto per rompere il ghiaccio e poi cercherei di scoparti. Così avrei la mia ultima notte con te, per dimostrarti cosa ti perderai per il resto del tempo. Qualcuno quest’estate mi ha detto che il problema del sesso non è arrivare all’orgasmo, ma il momento che segue, quando sei nel letto con qualcuno che più o meno conosci. Il momento in cui, se non c’è confidenza, si crea imbarazzo. Noi la confidenza l’abbiamo un po’ persa, ma non ci sarebbe imbarazzo. Non ci sarebbero nemmeno carezze e coccole da prima notte di nozze. Ce ne staremmo sdraiate ognuna nella sua metà di letto a guardare il soffitto mentre fumiamo un sizzone e ridiamo per qualche puttanata. Qualche sano: «Oh, ma ti ricordi…». Del tipo: «Oh, ma ti ricordi quando l’abbiamo fatto su un tetto? Che ridere».

Una notte così, poi te ne torneresti in quella città che tanto ti piace e mi lasceresti qua nella mia, a dirmi che tra, sto bene. E invece forse poi affogherei nella miseria di anni e anni di scelte sbagliate.

Pure a me piaceva quella città. Infatti, quando mi hai detto che se volevo tornarci qualche volta, bastava che te lo dicessi, ci ho pensato davvero. So che l’hai detto solo per cortesia, perché io ti avevo appena detto: «Dai, oh, zi’, vienimi a trovare a Madrid». So pure che a trovarmi non ci verrai mai, un po’ perché ti dà fastidio muovere il culo, un po’ perché non te ne frega un cazzo di me e in tutti ‘sti anni non hai fatto nulla per smentire questa mia convinzione. Anche perché, diciamocelo: sapevi perfettamente dove trovarmi, se in tutto ‘sto tempo non mi hai mai chiesto l’indirizzo e non ti sei mai presentata qua è perché non te ne fotte un cazzo di farlo. Sapevi pure che avresti trovato la porta aperta.

Quando l’ho raccontato a Silvio, le ho detto: «Cristo, un weekend me lo farei… La città mi manca, anche se non ci tornerei mai a vivere. MAI».

E la sua unica risposta è stata: «Se vai, poi quando torni starai a pezzi».

Mi sono anche chiesta cosa faresti tu se a entrare dalla porta del bar fossi io. Suppongo che non lo sapremo mai.

Ieri ne stavo parlando con il mio coinquilino di tutte ‘ste paranoie e lui, dopo avermi raccontato una storia incredibile su come ha perso la verginità con il suo primo amore degna di una commedia romantica degli anni ’90, mi ha detto: «Ora vive a Miami. Non ci vediamo da anni, ma so che prima o poi ci vedremo. La vita ti fa sempre rincontrare quand’è il momento».

Io, un po’ scettica, gli ho detto: «Sì… Ma io questa dov’è che la rivedo, che io vivo qua e lei vive là? Dovremmo tipo beccarci una volta per caso nella nostra città natale comune, ma quante probabilità ci sono? Dovremmo tipo coincidere in un periodo in cui entrambe siamo andate a vedere le nostre famiglie ed è impossibile. Anzi, una volta in realtà è successo che fossimo lì in vacanza la stessa settimana. Le avevo scritto, ma non mi ha mai risposto… Figurati».

A volte, negli ultimi anni, mi sono immaginata di riuscire a trovarmi un lavoro decente e di dover fare un viaggio proprio in quella tua città del cazzo «per affari». Ti scriverei, ti direi: «Uè, zi’, sono io. Sono qui per un paio di giorni “per affari” (virgolette con le dita). Sì, sai, in questi anni in cui non ci siamo viste sono riuscita a costruirmi un posizione rilevante all’interno della società. Ci becchiamo in qualche bar che cinque anni fa non ci saremmo potute permettere?». E ti aspetterei al bancone con gin tonic, una gonna a tubo e una camicetta scollata giusto per farti vedere che cazzo di signora sono diventata, per farti vedere che figa sono, anche se sono ingrassata, anche se ho i capelli di un altro colore, qualche piercing e qualche tatuaggio in più. Ti pagherei pure da bere. Per farti capire che, regazzi’, non hai ni puta idea della Donna brillante che sono ora, userei la mia arma migliore: l’ironia.

Hai detto che ti piace la mia ironia nello scrivere, ti fa «sorridere». Be’, zi’, ricordati che la maggior parte delle volte in cui sfoggio l’ironia è perché se mi metto a parlare sul serio è un casino. Tipo adesso. Quindi, forse forse, non c’hai proprio un cazzo da sorridere. Perché l’inglese è vero che ormai ce l’ho un po’ ossidato, ma come vedi in italiano mi so ancora esprimere benissimo. E, giusto per fartelo sapere, QUESTO è andarci giù pesante.

Insomma, negli anni mi sono immaginata mille mila scenari da film. Si potrebbe dire quasi che sei la mia musa. L’altro giorno ho letto il titolo di un articolo su Roberto Benigni che diceva che tutto quello che ha fatto, l’ha fatto per Nicoletta Braschi. Al che, mi sono chiesta se sono davvero disposta a scrivere mille mila pagine di storie chiaramente ispirate a te… E per cosa? Per la speranza che un giorno ti capiti di accorgerti per caso che ho scritto di te e che alzi il telefono per chiamarmi? E pure se fosse, cosa succederebbe dopo che mi hai chiamato? Mi dici che anche io sono sempre stata l’unica per te e ti prego, ti prego, torniamo insieme? Ma va. Non tornerei mai a vivere lì, te sappiamo entrambe che sei restia a qualsiasi tipo di cambiamento nella tua routine e che non cambieresti una virgola della tua vita per nessuno, figuriamoci per me. Non tornerei mai a stare con una persona che non dimostra quanto le interesso. È che alla fine non lo dimostri perché non è vero che ti interesso.

È tutta ‘na stronzata, raga. Come diceva uno dei gruppi migliori degli anni ’90 e primi 2000, la vita non è un film. Nella vita vera la tua ex ha passato gli ultimi anni a scoparsi o tentare di scoparsi qualsiasi cosa che si muove e, se tutto va bene, avrà dedicato uno 0,0002% del suo tempo a pensare a te. Nella vita vera, è molto probabile che la tua ex, quando riceve un tuo messaggio, pensi che sei una fallita. Nella vita vera, è probabile che tu ti chieda se lo sei, visto che non hai né un lavoro che ti piace, né gonne a tubo, né viaggi d’affari e continui a non poterti permettere gli stessi bar che non ti potevi permettere cinque anni fa. Nella vita vera, gli Articolo 31 prima hanno iniziato a far cagare, poi si sono sciolti e J-Ax ha iniziato una carriera da solista in cui ha fatto ancora più cagare. Se fossimo nel blocco e io fossi una rapper incazzosa e incazzata, concluderei questo paragrafo con un «WELCOME TO THE REAL LIFE, BIATCH».

E probabilmente sto firmando la mia condanna, un po’ come te quando hai detto che mi leggi. Avresti dovuto sapere che mi stavi offrendo su un piatto d’argento la possibilità che aspettavo da tempo.

Dedicato a tutti i miei ex, ma soprattutto a te.

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